Benvenuti nel sito-blog dedicato a Perfetto, il primo libro de La Trilogia di Lilac.
Qui troverete tutte le info riguardanti la storia, i personaggi, i luoghi di Perfetto.
Nella sezione La Tecnologia, scoprirete quali sono stati i miei spunti per la creazione del mondo di Lilac, mentre nella sezione Extra troverete la playlist, nuovi capitoli e tante altre chicche.

Facile (La Trilogia di Lilac #1.1)

In questo primo contenuto extra, leggerete l'incontro fra Elia e Lilac alle cascate di Malorai, raccontato da lui.
Buona lettura.




Non mi piace aspettare.
Non sono il tipo di persona che se ne sta a proprio agio quando è ferma in un posto in attesa di qualcosa (o, in questo caso, di qualcuno). Soprattutto quando il qualcosa in questione (il qualcuno, sempre in questo caso) è ignoto e potenzialmente pericoloso.
So che questa non è una situazione normale.
So che non posso lamentarmi.
So che Mister è teso quanto me.
So che non posso dare voce ai miei pensieri.
Non so quando ho deciso di diventare il capo spirituale di questa missione. Non so perché ho scelto di assumermi la responsabilità morale di colui che ha tutto sotto controllo e non tradisce mai il minimo fastidio.
Non so perché cerco di convincermi che sia davvero così.
Siamo nascosti in questo tunnel da ore. Vediamo la luce che arriva dalla Francia, ed è come un'eterna spia di pericolo. E' lì, e quasi desidero avvicinarmi di più, entrare nel suo raggio.
Però non posso.
Però non devo.
Mister è accanto a me, seduto in silenzio, con la testa appoggiata alla parete del tunnel e gli occhi chiusi. Non dorme. Il suo respiro non è abbastanza lento.
In una situazione diversa, in un contesto diverso, potremmo festeggiare, io e lui.
Ce l'abbiamo fatta. La missione è conclusa. Siamo arrivati in Francia seguendo il percorso indicato da Michael e l'abbiamo fatto da vivi, senza intoppi, senza problemi.
Ma cosa c'è da festeggiare, in fondo?
Il fatto che abbiamo messo piede in un mondo che, per noi, non dovrebbe esistere?
Il fatto che siamo stati più fortunati di tutti quelli che non sono mai ritornati a Pontenero?
Il fatto che, a voler essere razionali, non esistono garanzie sul nostro stesso ritorno?
Gli occhi chiusi di Mister sono gli occhi chiusi su quella luce che io vedo fra le piante finte sistemate alla fine del tunnel come una porta precaria che qualcuno ha deciso di costruire sul resto del mondo. Sono gli occhi chiusi su quel mondo a cui non apparteniamo, su quel mondo in cui, se venissimo scoperti, saremmo uccisi in un secondo.
Li tiene chiusi per non essere tentato dalla luce. Li tiene chiusi perché, per lui, è meglio così.
Se potessi, li chiuderei anche io. Tecnicamente posso farlo, le mie palpebre funzionano bene, ma spegnere uno dei sensi non equivale, almeno per me, a spegnere tutti gli altri, in special modo l'udito.
Riesco a sentire ogni cosa dal punto in cui mi trovo.
Cose che Mister non riesce a sentire, e non perché è anziano.
L'acqua del fiume, ad esempio. Scorre lenta, ma quando incontra uno dei massi e va a finirci contro il suono che fa è sempre lo stesso. Sempre lo stesso "swoosh", sempre lo stesso.
Anche i massi devono essere finti, come le piante. Se non lo fossero, ogni "swoosh" sarebbe diverso dal precedente e dal successivo. Se le rocce fossero vere, l'acqua le modificherebbe ad ogni passaggio, in maniera impercettibile per tutti, tranne che per me. Ma lo "swoosh" è sempre uguale, segno che il masso non può essere modificato, neanche in maniera impercettibile.
Chissà con che materiale l'hanno costruito.
La terra ha un odore strano, diverso da quello di Pontenero.
Non è terra artificiale, no. E' semplicemente differente.
A Pontenero, l'odore della terra è vivo, umido. Non so come spiegarlo, ma so che ogni giorno cambia, a seconda che ci sia più o meno sole, o più o meno vento.
Nel resto d'Italia, la terra non ha odore. E' marcia, morta.
Chissà quanti altri odori ha la terra in giro per il mondo.
Chissà quanti profumi, suoni, voci non ho ancora mai sentito.
Non credo li sentirò mai, e forse è per questo che non riesco a riposare, come invece fa Mister. Lui ha già visto, ha già ascoltato. Lui ha una vita passata. Io no.
Per me, tutto questo è nuovo.
Pericoloso, proibito, crudele e distante, ma comunque nuovo.
E la novità ha sempre la meglio sul resto. Sempre.

***

Dopo novantacinque minuti, le ore di attesa e le mie riflessioni interiori sono cancellate in un momento, quando l'udito rileva un rumore.
"Credo che stiano arrivando," dico sottovoce.
Mister apre gli occhi, il suo sguardo è vigile. "Cosa senti?" chiede. Si alza in piedi e cerca di guardarsi attorno, ma la sua vista non può nulla contro il mio udito.
"E' un'auto," rispondo. "Il motore è molto debole."
"Michael ha detto che le loro auto sono piccole. Senti già qualche voce?"
Scuoto la testa, compiendo un passo in avanti, oltrepassando il confine invisibile del tunnel.
Mister mi afferra per un braccio. "Elia. Fermo."
"Non c'è nessuno," dico con calma. "Siamo soli."
Sa che può fidarsi, per cui mi lascia andare.
"Voglio solo sgranchirmi le gambe," lo rassicuro.
Il rumore della piccola auto diventa sempre più vicino. E' un ronzio metallico, artificiale come gli alberi e i cespugli.
I massi sono finti, come immaginavo. Li tocco, quando mi avvicino al fiumiciattolo limpido, e la mia teoria ha subito conferma.
Nulla a che vedere con le pietre che si trovano a Pontenero, nel Biago. Nulla a che vedere con gli scogli del mare. Sono massi pesanti, ben fatti. Ma finti.
"Si stanno avvicinando," dico ad un tratto. Mister è dietro di me, e il suo sguardo è attento, quasi spaventato.
L'auto è più vicina, la sento. Sta rallentando.
Sento anche le voci. Per la prima volta. Confuse, rapide, incomprensibili.
Concentro lo sguardo sul punto da cui le sento arrivare, e resto immobile e muto, come se il tempo potesse darmi ciò che non potrà mai darmi, ovvero la comprensione di una lingua che non conosco.
"Parlano in francese." Mi giro a guardare Mister prima di continuare. "Sono due donne."
"Sono loro." Sposta gli occhi verso il boschetto. "Dietro quell'albero," dice. "Andiamo a nasconderci lì."
L'auto raggiunge il piccolo sentiero pieno di cespugli dopo due minuti. E' piccola, bassa. Non ne ho mai vista una simile. Al suo interno ci sono due donne, e le loro voci sono animate, più animate di prima. Continuo a non capire cosa dicono.
L'auto rallenta fino a fermarsi a trenta metri da noi.
La donna alla guida è la nonna. Francesca. E' anziana, ha i capelli rossi e corti. E' identica a come Michael ce l'ha descritta.
L'altra è Lilac. Muove le mani quando parla. I suoi occhi sono larghi e il suo viso è sorpreso, meravigliato. Quello della nonna, invece, è il ritratto della calma.
I secondi passano lentamente per me. Isolo ogni suono della natura, e mi concentro solo su di loro.
Scendono dall'auto. Lilac fa il giro per andare accanto alla nonna. E' alta. Snella, veloce. I capelli rossi si muovono in maniera agitata e nervosa. Michael ha detto che il mese prossimo compirà diciotto anni.
La nonna le dice qualcosa e poi controlla l'orologio. Lilac allarga gli occhi e si ferma di scatto.
Vorrei tanto capire il francese.
Francesca si muove verso il retro dell'auto. Da essa tira fuori uno zaino blu.
Lilac le parla di nuovo, ma è come se l'altra non le desse retta, e il suo viso è ancora più sorpreso, scioccato.
"Non sapeva nulla," dico a Mister. "La nonna non le ha detto niente."
"Capisci il francese, adesso?" chiede lui, gli occhi puntati sulle donne.
"No," rispondo con rabbia, innervosito dalla sua battuta, "ma riconosco la paura."
E quella negli occhi di Lilac è paura. Francesca non l'ha preparata, non le ha detto ciò che sta per accadere.
"Andiamo," dico, compiendo un passo in avanti. Parlo senza riflettere, mosso non dal piano, ma dalla disperazione che leggo negli occhi della figlia di Michael.
"Fermo! Non muoverti," dice Mister. "Dobbiamo aspettare che loro vengano verso il tunnel, come previsto. Non possiamo uscire ancora di più allo scoperto."
"E lasciare che Lilac non ci guardi neanche in faccia? Quel tunnel è buio e lei è terrorizzata, Mister. Non dobbiamo raccontarle nulla, è vero, ma quella ragazza ha perlomeno il diritto di sapere chi la porterà via."
"E vorresti dirglielo tu?" chiede, afferrandomi per il giaccone. "Vorresti presentarti e stringerle la mano? Quella lì è sua nonna, noi siamo due estranei. Rispetta il piano."
"Il piano dice che non dobbiamo raccontarle la verità," dico, scrollandomi da dosso la sua mano. "Il piano non dice nulla circa le strette di mano."
Non dovrei sentirmi così sicuro, così arrabbiato, così spinto verso il pericolo. Né tantomeno dovrei pensare a stringerle la mano.
Eppure lo sono. Eppure ci penso.
Mister si muove insieme a me, probabilmente per bloccarmi, ma è inutile. Appariamo davanti alle due donne all'improvviso, ed entrambe reagiscono con sorpresa. Ma se la nonna si ricompone subito, Lilac è stravolta
Non sapeva nulla. Francesca non l'ha avvisata. Probabilmente le ha raccontato tutto in auto, mentre la portava qui. Che razza di persona è? Come può pensare che Lilac non abbia domande da fare?
La ragazza balbetta, ma la nonna sembra non curarsene.
Viene verso di noi, invece, con lo zaino blu fra le braccia.
Stringo i pugni, mi concentro sul suo viso.
Si ferma a pochi passi da noi.
I suoi occhi sono verdi, segno che Lilac ha preso i suoi da Michael. Li guardo per pochi secondi, spostando lo sguardo da Francesca, ma lei non deve rendersene neppure conto. Ci guarda, di vede, ma forse non capisce neppure chi siamo.
Cosa siamo.
Michael ce l'ha detto: per mia figlia i maschi si sono estinti, sarà sorpresa.
Sorpresa è un conto. Terrorizzata è tutt'altra cosa.
"Irene e Michael vi hanno descritti alla perfezione," dice Francesca in italiano.
Irene è sua figlia. Lei crede che viva a Pontenero con noi. Mi basta uno sguardo con Mister per ricordare le istruzioni di Michael in merito alla faccenda.
"Io sono Mister, lui è Elia."
Mister è teso, ma riesce a controllarsi come al solito.
Lei annuisce, ma non credo che le interessi sapere i nostri nomi. Non sorride, non mostra alcun segno di umanità.
"Lei che cosa sa?" chiedo, parlando alla nonna ma continuando a fissare Lilac.
"Nulla," risponde Francesca senza battere ciglio. "Saranno i suoi genitori a raccontarle tutto, l'accordo è questo."
Lo dice come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se lo stato d'animo di sua nipote non fosse un problema. Come se ci stesse affidando un bidone d'acqua, non un essere umano.
"Qui c'è tutto," continua, battendo una mano sullo zaino. "Anche i semi. Vieni, Lilac," dice in italiano alla nipote. "Devi andare."
E' così che funziona? Che cos'ha nel cervello? Perché non si ferma e le spiega dove sta andando?
Lilac parla di nuovo, e stavolta lo fa in italiano. Ora posso capirla, e la sua voce è ancora più agitata, disperata.
Francesca l'afferra per la mano, e Lilac barcolla.
Non so come, ma mi trattengo dall'andarle incontro e sorreggerla.
Probabilmente sono le parole della nonna a bloccarmi.
"Il sonnifero sta facendo effetto," dice.
"Il sonnifero?" chiede Mister. "L'ha drogata?"
Francesca inizia a rispondere, ma è in quell'istante che Lilac barcolla di nuovo. L'afferro facendo un passo in avanti, sorreggendola per evitare che cada a terra.
Parla alla nonna, ora di nuovo in francese. Biascica le parole. Muove la testa per guardarsi attorno. Trema. E' sull'orlo delle lacrime. Forse non si rende neppure conto che sono al suo fianco, che la sto sorreggendo.
Francesca le dà un bacio sulla fronte, poi le dice qualcosa. Solo quando gli occhi di sua nipote si chiudono, vedo un barlume di emozione in lei.
Afferro Lilac mentre si lascia andare.
Porto una mano sotto le sue ginocchia, la sollevo fra le braccia. La testa trova subito posto sul mio petto, e ne sono lieto. Non so per quanto tempo rimarrà addormentata, ma sarà meglio che lo faccia in una posizione comoda.
"Quando si sveglierà avrà bisogno di bere," dice Francesca a Mister, mentre si asciuga gli occhi. "Nel suo zaino c'è una bottiglia d'acqua."
"Anche noi abbiamo l'acqua," dico io, stringendo il corpo di Lilac al mio. Non so perché ho bisogno di puntualizzarlo. "Gliela daremo non appena si sveglierà," aggiungo quando Mister mi fulmina con lo sguardo.
Francesca bacia di nuovo la fronte di Lilac, e le sussurra qualcosa all'orecchio in francese.
Si commuove quando Mister le dice che siamo pronti per andarcene.
"Non sarà facile," dice, fissando il viso della nipote. "Ma so che ce la farai, bambina. Ne sono certa."
"Perché non le ha detto nulla?"
Non vorrei parlarle. Non vorrei neanche guardarla.
So chi è, so cos'ha fatto.
Ma devo sapere.
"Perché non l'ha preparata?" insisto.
"Che tipo di preparazione suggeriresti tu, per un'occasione simile?" chiede a voce bassa. "In che modo avrei potuto prepararla?"
"Raccontandole tutto prima di portarla qui. Evitando di darle un sonnifero. Quello sarebbe stato un buon inizio. Di certo più facile."
Lei sorride, ma non lo fa nel modo in cui quasi mi aspetto che lo faccia.
Il suo non è un sorriso sfrontato, sicuro. E' un sorriso mesto, semplice.
"Non c'è nulla di facile in tutto questo, Elia," dice Francesca. Pronuncia il mio nome senza incertezza, segno che – a dispetto di ciò che pensavo – lo ha ascoltato perfettamente prima. "Nulla di ciò che ha a che fare con la ragazza che hai ora fra le braccia è o sarà mai facile. Presto te ne accorgerai tu stesso, sono certa anche di questo."

***

Una volta nel tunnel, chiedo a Mister di aiutarmi a togliere il giaccone, per sistemarlo attorno a Lilac. L'aria è umida, e lei non è vestita in maniera adatta. Potrebbe avere freddo.
Sempre grazie all'aiuto di Mister, posiziono la fascia luminosa sulla fronte.
Lui mi precede in silenzio, e in silenzio camminiamo verso l'altra estramità del tunnel.
Cosa accadrà quando Lilac riaprirà gli occhi? Quante domande ci farà? Cosa dovremo dirle?
"Questa ragazza non è Eloise," dice ad un tratto Mister.
Lo ignoro, continuando a camminare, ma istintivamente stringo Lilac a me.
"Hai sentito cosa ho detto? Lilac non è Eloise."
"Quindi?"
Mister velocizza il passo fino a fermarsi davanti a me. La luce sulla sua fronte mi arriva dritto negli occhi.
"Quindi ho bisogno che tu rimanga concentrato sul viaggio di ritorno. E su nient'altro."
Non devo chiedergli spiegazioni. So cosa mi sta dicendo.
So cosa devo fare.
"D'accordo," dico, riprendendo a camminare. "Come vuoi."
"No," dice lui venendomi dietro. "Non 'come voglio'. Ma 'come deve essere'. Quello che hai detto alla nonna, il modo in cui ti sei lanciato verso di lei. Sai bene che non-"
"Ho capito, Mister. Basta così."
Stringo Lilac al petto lasciandomi lui alle spalle.
Continuo a camminare nel tunnel buio.


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