Buona lettura.
Non mi piace aspettare.
Non sono il tipo di persona
che se ne sta a proprio agio quando è ferma in un posto in attesa di
qualcosa (o, in questo caso, di qualcuno). Soprattutto quando il
qualcosa in questione (il qualcuno, sempre in questo caso) è ignoto
e potenzialmente pericoloso.
So che questa non è una
situazione normale.
So che non posso lamentarmi.
So che Mister è teso quanto
me.
So che non posso dare voce
ai miei pensieri.
Non so quando ho deciso di
diventare il capo spirituale di questa missione. Non so perché ho
scelto di assumermi la responsabilità morale di colui che ha tutto
sotto controllo e non tradisce mai il minimo fastidio.
Non so perché cerco di
convincermi che sia davvero così.
Siamo nascosti in questo
tunnel da ore. Vediamo la luce che arriva dalla Francia, ed è come
un'eterna spia di pericolo. E' lì, e quasi desidero avvicinarmi di
più, entrare nel suo raggio.
Però non posso.
Però non devo.
Mister è accanto a me,
seduto in silenzio, con la testa appoggiata alla parete del tunnel e
gli occhi chiusi. Non dorme. Il suo respiro non è abbastanza lento.
In una situazione diversa,
in un contesto diverso, potremmo festeggiare, io e lui.
Ce l'abbiamo fatta. La
missione è conclusa. Siamo arrivati in Francia seguendo il percorso
indicato da Michael e l'abbiamo fatto da vivi, senza intoppi, senza
problemi.
Ma cosa c'è da festeggiare,
in fondo?
Il fatto che abbiamo messo
piede in un mondo che, per noi, non dovrebbe esistere?
Il fatto che siamo stati più
fortunati di tutti quelli che non sono mai ritornati a Pontenero?
Il fatto che, a voler essere
razionali, non esistono garanzie sul nostro stesso ritorno?
Gli occhi chiusi di Mister
sono gli occhi chiusi su quella luce che io vedo fra le piante finte
sistemate alla fine del tunnel come una porta precaria che qualcuno
ha deciso di costruire sul resto del mondo. Sono gli occhi chiusi su
quel mondo a cui non apparteniamo, su quel mondo in cui, se venissimo
scoperti, saremmo uccisi in un secondo.
Li tiene chiusi per non
essere tentato dalla luce. Li tiene chiusi perché, per lui, è
meglio così.
Se potessi, li chiuderei
anche io. Tecnicamente posso farlo, le mie palpebre funzionano bene,
ma spegnere uno dei sensi non equivale, almeno per me, a spegnere
tutti gli altri, in special modo l'udito.
Riesco a sentire ogni cosa
dal punto in cui mi trovo.
Cose che Mister non riesce a
sentire, e non perché è anziano.
L'acqua del fiume, ad
esempio. Scorre lenta, ma quando incontra uno dei massi e va a
finirci contro il suono che fa è sempre lo stesso. Sempre lo stesso
"swoosh", sempre lo stesso.
Anche i massi devono essere
finti, come le piante. Se non lo fossero, ogni "swoosh"
sarebbe diverso dal precedente e dal successivo. Se le rocce fossero
vere, l'acqua le modificherebbe ad ogni passaggio, in maniera
impercettibile per tutti, tranne che per me. Ma lo "swoosh"
è sempre uguale, segno che il masso non può essere modificato,
neanche in maniera impercettibile.
Chissà con che materiale
l'hanno costruito.
La terra ha un odore strano,
diverso da quello di Pontenero.
Non è terra artificiale,
no. E' semplicemente differente.
A Pontenero, l'odore della
terra è vivo, umido. Non so come spiegarlo, ma so che ogni giorno
cambia, a seconda che ci sia più o meno sole, o più o meno vento.
Nel resto d'Italia, la terra
non ha odore. E' marcia, morta.
Chissà quanti altri odori
ha la terra in giro per il mondo.
Chissà quanti profumi,
suoni, voci non ho ancora mai sentito.
Non credo li sentirò mai, e
forse è per questo che non riesco a riposare, come invece fa Mister.
Lui ha già visto, ha già ascoltato. Lui ha una vita passata. Io no.
Per me, tutto questo è
nuovo.
Pericoloso, proibito,
crudele e distante, ma comunque nuovo.
E la novità ha sempre la
meglio sul resto. Sempre.
***
Dopo novantacinque minuti,
le ore di attesa e le mie riflessioni interiori sono cancellate in un
momento, quando l'udito rileva un rumore.
"Credo che stiano
arrivando," dico sottovoce.
Mister apre gli occhi, il
suo sguardo è vigile. "Cosa senti?" chiede. Si alza in
piedi e cerca di guardarsi attorno, ma la sua vista non può nulla
contro il mio udito.
"E' un'auto,"
rispondo. "Il motore è molto debole."
"Michael ha detto che
le loro auto sono piccole. Senti già qualche voce?"
Scuoto la testa, compiendo
un passo in avanti, oltrepassando il confine invisibile del tunnel.
Mister mi afferra per un
braccio. "Elia. Fermo."
"Non c'è nessuno,"
dico con calma. "Siamo soli."
Sa che può fidarsi, per cui
mi lascia andare.
"Voglio solo
sgranchirmi le gambe," lo rassicuro.
Il rumore della piccola auto
diventa sempre più vicino. E' un ronzio metallico, artificiale come
gli alberi e i cespugli.
I massi sono finti, come
immaginavo. Li tocco, quando mi avvicino al fiumiciattolo limpido, e
la mia teoria ha subito conferma.
Nulla a che vedere con le
pietre che si trovano a Pontenero, nel Biago. Nulla a che vedere con
gli scogli del mare. Sono massi pesanti, ben fatti. Ma finti.
"Si stanno
avvicinando," dico ad un tratto. Mister è dietro di me, e il
suo sguardo è attento, quasi spaventato.
L'auto è più vicina, la
sento. Sta rallentando.
Sento anche le voci. Per la
prima volta. Confuse, rapide, incomprensibili.
Concentro lo sguardo sul
punto da cui le sento arrivare, e resto immobile e muto, come se il
tempo potesse darmi ciò che non potrà mai darmi, ovvero la
comprensione di una lingua che non conosco.
"Parlano in francese."
Mi giro a guardare Mister prima di continuare. "Sono due donne."
"Sono loro."
Sposta gli occhi verso il boschetto. "Dietro quell'albero,"
dice. "Andiamo a nasconderci lì."
L'auto raggiunge il piccolo
sentiero pieno di cespugli dopo due minuti. E' piccola, bassa. Non ne
ho mai vista una simile. Al suo interno ci sono due donne, e le loro
voci sono animate, più animate di prima. Continuo a non capire cosa
dicono.
L'auto rallenta fino a
fermarsi a trenta metri da noi.
La donna alla guida è la
nonna. Francesca. E' anziana, ha i capelli rossi e corti. E' identica
a come Michael ce l'ha descritta.
L'altra è Lilac. Muove le
mani quando parla. I suoi occhi sono larghi e il suo viso è
sorpreso, meravigliato. Quello della nonna, invece, è il ritratto
della calma.
I secondi passano lentamente
per me. Isolo ogni suono della natura, e mi concentro solo su di
loro.
Scendono dall'auto. Lilac fa
il giro per andare accanto alla nonna. E' alta. Snella, veloce. I
capelli rossi si muovono in maniera agitata e nervosa. Michael ha
detto che il mese prossimo compirà diciotto anni.
La nonna le dice qualcosa e
poi controlla l'orologio. Lilac allarga gli occhi e si ferma di
scatto.
Vorrei tanto capire il
francese.
Francesca si muove verso il
retro dell'auto. Da essa tira fuori uno zaino blu.
Lilac le parla di nuovo, ma
è come se l'altra non le desse retta, e il suo viso è ancora più
sorpreso, scioccato.
"Non sapeva nulla,"
dico a Mister. "La nonna non le ha detto niente."
"Capisci il francese,
adesso?" chiede lui, gli occhi puntati sulle donne.
"No," rispondo con
rabbia, innervosito dalla sua battuta, "ma riconosco la paura."
E quella negli occhi di
Lilac è paura. Francesca non l'ha preparata, non le ha detto ciò
che sta per accadere.
"Andiamo," dico,
compiendo un passo in avanti. Parlo senza riflettere, mosso non dal
piano, ma dalla disperazione che leggo negli occhi della figlia di
Michael.
"Fermo! Non muoverti,"
dice Mister. "Dobbiamo aspettare che loro vengano verso il
tunnel, come previsto. Non possiamo uscire ancora di più allo
scoperto."
"E lasciare che Lilac
non ci guardi neanche in faccia? Quel tunnel è buio e lei è
terrorizzata, Mister. Non dobbiamo raccontarle nulla, è vero, ma
quella ragazza ha perlomeno il diritto di sapere chi la porterà
via."
"E vorresti dirglielo
tu?" chiede, afferrandomi per il giaccone. "Vorresti
presentarti e stringerle la mano? Quella lì è sua nonna, noi siamo
due estranei. Rispetta il piano."
"Il piano dice che non
dobbiamo raccontarle la verità," dico, scrollandomi da dosso la
sua mano. "Il piano non dice nulla circa le strette di mano."
Non dovrei sentirmi così
sicuro, così arrabbiato, così spinto verso il pericolo. Né
tantomeno dovrei pensare a stringerle la mano.
Eppure lo sono. Eppure ci
penso.
Mister si muove insieme a
me, probabilmente per bloccarmi, ma è inutile. Appariamo davanti
alle due donne all'improvviso, ed entrambe reagiscono con sorpresa.
Ma se la nonna si ricompone subito, Lilac è stravolta
Non sapeva nulla. Francesca
non l'ha avvisata. Probabilmente le ha raccontato tutto in auto,
mentre la portava qui. Che razza di persona è? Come può pensare che
Lilac non abbia domande da fare?
La ragazza balbetta, ma la
nonna sembra non curarsene.
Viene verso di noi, invece,
con lo zaino blu fra le braccia.
Stringo i pugni, mi
concentro sul suo viso.
Si ferma a pochi passi da
noi.
I suoi occhi sono verdi,
segno che Lilac ha preso i suoi da Michael. Li guardo per pochi
secondi, spostando lo sguardo da Francesca, ma lei non deve
rendersene neppure conto. Ci guarda, di vede, ma forse non capisce
neppure chi siamo.
Cosa siamo.
Michael ce l'ha detto: per
mia figlia i maschi si sono estinti, sarà sorpresa.
Sorpresa è un conto.
Terrorizzata è tutt'altra cosa.
"Irene e Michael vi
hanno descritti alla perfezione," dice Francesca in italiano.
Irene è sua figlia. Lei
crede che viva a Pontenero con noi. Mi basta uno sguardo con Mister
per ricordare le istruzioni di Michael in merito alla faccenda.
"Io sono Mister, lui è
Elia."
Mister è teso, ma riesce a
controllarsi come al solito.
Lei annuisce, ma non credo
che le interessi sapere i nostri nomi. Non sorride, non mostra alcun
segno di umanità.
"Lei che cosa sa?"
chiedo, parlando alla nonna ma continuando a fissare Lilac.
"Nulla," risponde
Francesca senza battere ciglio. "Saranno i suoi genitori a
raccontarle tutto, l'accordo è questo."
Lo dice come se fosse la
cosa più naturale del mondo. Come se lo stato d'animo di sua nipote
non fosse un problema. Come se ci stesse affidando un bidone d'acqua,
non un essere umano.
"Qui c'è tutto,"
continua, battendo una mano sullo zaino. "Anche i semi. Vieni,
Lilac," dice in italiano alla nipote. "Devi andare."
E' così che funziona? Che
cos'ha nel cervello? Perché non si ferma e le spiega dove sta
andando?
Lilac parla di nuovo, e
stavolta lo fa in italiano. Ora posso capirla, e la sua voce è
ancora più agitata, disperata.
Francesca l'afferra per la
mano, e Lilac barcolla.
Non so come, ma mi trattengo
dall'andarle incontro e sorreggerla.
Probabilmente sono le parole
della nonna a bloccarmi.
"Il sonnifero sta
facendo effetto," dice.
"Il sonnifero?"
chiede Mister. "L'ha drogata?"
Francesca inizia a
rispondere, ma è in quell'istante che Lilac barcolla di nuovo.
L'afferro facendo un passo in avanti, sorreggendola per evitare che
cada a terra.
Parla alla nonna, ora di
nuovo in francese. Biascica le parole. Muove la testa per guardarsi
attorno. Trema. E' sull'orlo delle lacrime. Forse non si rende
neppure conto che sono al suo fianco, che la sto sorreggendo.
Francesca le dà un bacio
sulla fronte, poi le dice qualcosa. Solo quando gli occhi di sua
nipote si chiudono, vedo un barlume di emozione in lei.
Afferro Lilac mentre si
lascia andare.
Porto una mano sotto le sue
ginocchia, la sollevo fra le braccia. La testa trova subito posto sul
mio petto, e ne sono lieto. Non so per quanto tempo rimarrà
addormentata, ma sarà meglio che lo faccia in una posizione comoda.
"Quando si sveglierà
avrà bisogno di bere," dice Francesca a Mister, mentre si
asciuga gli occhi. "Nel suo zaino c'è una bottiglia d'acqua."
"Anche noi abbiamo
l'acqua," dico io, stringendo il corpo di Lilac al mio. Non so
perché ho bisogno di puntualizzarlo. "Gliela daremo non appena
si sveglierà," aggiungo quando Mister mi fulmina con lo
sguardo.
Francesca bacia di nuovo la
fronte di Lilac, e le sussurra qualcosa all'orecchio in francese.
Si commuove quando Mister le
dice che siamo pronti per andarcene.
"Non sarà facile,"
dice, fissando il viso della nipote. "Ma so che ce la farai,
bambina. Ne sono certa."
"Perché non le ha
detto nulla?"
Non vorrei parlarle. Non
vorrei neanche guardarla.
So chi è, so cos'ha fatto.
Ma devo sapere.
"Perché non l'ha
preparata?" insisto.
"Che tipo di
preparazione suggeriresti tu, per un'occasione simile?" chiede a
voce bassa. "In che modo avrei potuto prepararla?"
"Raccontandole tutto
prima di portarla qui. Evitando di darle un sonnifero. Quello sarebbe
stato un buon inizio. Di certo più facile."
Lei sorride, ma non lo fa
nel modo in cui quasi mi aspetto che lo faccia.
Il suo non è un sorriso
sfrontato, sicuro. E' un sorriso mesto, semplice.
"Non c'è nulla di
facile in tutto questo, Elia," dice Francesca. Pronuncia il mio
nome senza incertezza, segno che – a dispetto di ciò che pensavo –
lo ha ascoltato perfettamente prima. "Nulla di ciò che ha a che
fare con la ragazza che hai ora fra le braccia è o sarà mai facile.
Presto te ne accorgerai tu stesso, sono certa anche di questo."
***
Una volta nel tunnel, chiedo
a Mister di aiutarmi a togliere il giaccone, per sistemarlo attorno a
Lilac. L'aria è umida, e lei non è vestita in maniera adatta.
Potrebbe avere freddo.
Sempre grazie all'aiuto di
Mister, posiziono la fascia luminosa sulla fronte.
Lui mi precede in silenzio,
e in silenzio camminiamo verso l'altra estramità del tunnel.
Cosa accadrà quando Lilac
riaprirà gli occhi? Quante domande ci farà? Cosa dovremo dirle?
"Questa ragazza non è
Eloise," dice ad un tratto Mister.
Lo ignoro, continuando a
camminare, ma istintivamente stringo Lilac a me.
"Hai sentito cosa ho
detto? Lilac non è Eloise."
"Quindi?"
Mister velocizza il passo
fino a fermarsi davanti a me. La luce sulla sua fronte mi arriva
dritto negli occhi.
"Quindi ho bisogno che
tu rimanga concentrato sul viaggio di ritorno. E su nient'altro."
Non devo chiedergli
spiegazioni. So cosa mi sta dicendo.
So cosa devo fare.
"D'accordo," dico,
riprendendo a camminare. "Come vuoi."
"No," dice lui
venendomi dietro. "Non 'come voglio'. Ma 'come deve essere'.
Quello che hai detto alla nonna, il modo in cui ti sei lanciato verso
di lei. Sai bene che non-"
"Ho capito, Mister.
Basta così."
Stringo Lilac al petto
lasciandomi lui alle spalle.
Continuo a camminare nel
tunnel buio.
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